Corpus Hypercubus 1954, Salvador Dalì
"Il Cielo, ecco quello che la mia anima ebbra d'assoluto ha cercato durante tutta una vita che a certuni è potuta sembrare confusa e, per dirla tutta profumata dello zolfo del demonio. …Il Cielo non si trova né in alto, né in basso, né a destra, né a sinistra, il Cielo è esattamente al centro del petto dell'uomo che possiede la fede.
P.S. In questo momento non possiedo la fede e temo di morire senza Cielo"
Il Cristo di Dalì si staglia immacolato contro un cielo scuro e una improbabile croce cubiforme.
Quella croce, matematicamente parlando, evoca un tesseratto o ipercubo.
Da oltre un secolo la mente umana è affascinata da questa domanda: cosa significa l'esistenza di oggetti di dimensioni differenti dalle tre del nostro mondo?
Questa considerazione ha affascinato, scienziati, filosofi, artisti e ovviamente i matematici.
La migliore introduzione a questo argomento è senza dubbio il romanzo del XIX secolo Flatlandia, pubblicato nel 1884 da Edwin A. Abbott.
Flatlandia descrive una popolazione di esseri bidimensionali, che vivono su una superficie piana, senza neppure sospettare che esista alcunché al di fuori del loro universo.
Un narratore, il Quadrato, spiega il suo mondo (e la sua società!) a noi abitanti di ciò che egli chiama Spacelandia.
Per rendere comprensibile al Quadrato la visione che si ha nella terza dimensione, Abbott usa un'analogia dimensionale: chiede al Quadrato di immaginare il modo in cui egli stesso sarebbe in grado di osservare Linelandia, un universo monodimensionale abitato da segmenti.
Consiglio vivamente la lettura del romanzo, mentre per i più pigri, rinvio a questo breve video ideato e realizzato da Michele Emmer, ormai quasi 40 anni fa.
Uno dei modi più comuni di pensare alle dimensioni è di considerarle come ciò che i fisici chiamano gradi di libertà.
Immaginate di guidare sul ponte di ferro che divide la Lombardia dal Piemonte e che, causa lavori in corso, incrociate un cartello "Vietato cambiare corsia": siete confinati in una dimensione, intrappolati tra il camion che vi precede e l'auto che vi segue.
Una volta al di là del ponte siete di nuovo in grado di muovervi in due dimensioni, magari sorpassando il camion: avete cioè un grado di libertà in più.
Ma prima di entrare ad Arona, un incidente stradale blocca entrambe le corsie: vorreste allora potere evadere nell'invitante terza dimensione che vi è indicata dall'Elisoccorso, appena sopraggiunto.
In realtà i vostri gradi di libertà non sono limitati alle dimensioni spaziali, probabilmente state rimpiangendo di non aver optato per la dimensione temporale (magari partendo prestissimo prima dell'apertura del cantiere)!
Con questa premessa entriamo nel tempio della Matematica.
Se nel piano (Flatlandia) trasliamo un segmento parallelamente a sé stesso per una distanza uguale alla sua lunghezza, congiungendo i 4 estremi, otteniamo un quadrato (i 4 estremi diventano i vertici del quadrato).
Nel caso del quadrato ogni lato è adiacente ad altri due. I due vertici di questi due lati che non sono in comune con il lato di partenza sono i vertici del lato opposto a quello di partenza.
Il numero dei lati è quindi 1+2+1 = 4 (un lato, i due adiacenti, quello opposto).
Se ora muoviamo nello spazio (Spaceland) il quadrato parallelamente a sé stesso, otteniamo una vista prospettica del cubo.
Nel caso del cubo ogni quadrato è adiacente ad altri quattro (ha quattro lati); i lati “liberi” di tali quadrati sono i lati del quadrato opposto a quello di partenza.
Il numero delle facce in un cubo è quindi 1+4+1 = 6 (una faccia, le quattro adiacenti, quella opposta).
Se ora muoviamo nello spazio il cubo parallelamente a sé stesso e congiungiamo i corrispondenti vertici otteniamo la vista prospettica di un ipercubo quadridimensionale.
Proviamo ora a ragionare per analogia ad un ipercubo: visto che ogni “faccia” di un ipercubo è un cubo, che ha sei facce, è ragionevole pensare che il totale delle facce cubiche dell'ipercubo sia 1+6+1 = 8 (un cubo, i sei adiacenti, il cubo opposto).
Siamo quindi arrivati a supporre che le facce cubiche dell'ipercubo possano essere otto.
Ritorniamo ora a Flatlandia con un'attenzione particolare verso lo sviluppo delle forme geometriche.
Sei quadrati, opportunamente disposti sul piano, rappresentano lo sviluppo nel piano del cubo.
Ma gli abitanti di Flatlandia possono solo immaginare di piegare cinque quadrati (il che è possibile solo in Spacelandia) per originare il cubo: conoscono le proprietà del solido (numero di spigoli, vertici e facce) ma non sono in grado di rappresentarselo.
Per analogia possiamo considerare lo sviluppo nello spazio tridimensionale dell'ipercubo quadridimensionale costituito da 8 cubi.
Come piegare gli otto cubi per poter immaginare la forma dell'ipercubo?
I sei quadrati dello sviluppo del cubo sono le sei facce del cubo e gli otto cubi dello sviluppo dell'ipercubo rappresentano le “facce cubiche” dell'ipercubo.
In altre parole gli otto cubi rappresentano “l'esterno” dell'ipercubo, vale a dire quello che si dovrebbe “vedere” dell'ipercubo in uno spazio quadridimensionale.
Purtroppo, pur conoscendone le proprietà (16 vertici, 32 spigoli, 24 facce quadrate e 8 facce tridimensionali cubiche), nessun abitante del nostro spazio può immaginare il processo che mette insieme tutto l'ipercubo.
Dallo sviluppo alle prospettiva.
Se un cubo visto di fronte appare come un quadrato dentro un quadrato, la veduta frontale di un ipercubo sarà un cubo dentro un cubo.
La parte più vicina dell'ipercubo apparirà come un cubo grande, quella più lontana come un cubo più piccolo all'interno di quello grande.
Nella prospettiva tridimensionale le immagini di quattro spigoli del cubo congiungono i vertici del quadrato esterno ai vertici corrispondenti di quello interno, formando quattro trapezi.
Nella prospettiva quadridimensionale le immagini di otto degli spigoli dell'ipercubo congiungeranno i vertici del cubo esterno ai vertici corrispondenti di quello interno, formando così sei tronchi di piramide.
La difficoltà per "i non matematici" di visualizzare strutture così complesse è oggi superata dall'utilizzo della computer graphics (ultimi secondi della narrazione di Emmer).
I moderni computer ci permettono di progettare oggetti complicati e affascinanti nel spazio quadridimensionale e poi studiarli tramite proiezione (diagrammi di Schlegel) nello spazio ordinario.
Pur non esperti di computer graphics, siamo però in grado di utilizzare alcuni programmi matematici, come GeoGebra5, per ottenere immagini tridimensionali.
Da alcuni anni sono in vendita apparecchi televisivi che consentono visioni 3d delle immagini dotandosi di particolari occhiali.
L'animazione seguente che ho realizzato (cliccare sulla 5 icona in alto a destra) può essere vista anche con quegli occhialini con lente rosso/verde distribuiti al cinema per visionare il film 3d.
Nel 1954 Salvador Dalì usò lo sviluppo dell'ipercubo come elemento simbolico nel suo dipinto Corpus Hypercubus.
Nel 1976 Dalì prese contatto con alcuni matematici della Brown University, tra cui Thomas Banchoff.
Fu un periodo di contaminazione felice fra Matematica e Arte, ben descritto in questo video dallo stesso Banchoff.
La Croce dipinta da Dalì esprime la somma del dolore del mondo.
Forse ogni uomo potrebbe leggere nella croce cubica di Dalì la cifra del proprio dolore, il male del proprio tempo.
Sotto la croce Dalì ha dipinto un irreale pavimento a scacchi, simbolo della storia con le sue trame, con i suoi giochi di azzardo e di potere.
La luce, nel dipinto di Dalì, investe Cristo dall'alto, illuminandogli il petto. Un timido bagliore si leva dall'oscuro panorama, l'alba che preannuncia sembra però destinata a non venire mai.
La donna di Dalì, sola davanti alla croce, immersa in un panorama anonimo e deserto rispecchia la situazione odierna, in cui la perdita del tessuto religioso nella società ha fatto sì che emergesse la solitudine del credente di fronte alle sue scelte di fede.
CulturaCattolica.it
Lo spazio quadridimensionale e gli oggetti a quattro dimensioni come l'ipercubo sono concetti affascinanti, ma esistono davvero?
Dal punto di vista matematico il problema non si pone; lo spazio quadridimensionale è un concetto astratto, sul quale possiamo lavorare, studiarne le proprietà, senza preoccuparsi di quale sia la sua realtà “immanente”.
Da questo punto di vista si capisce come si possa affermare che “la quarta dimensione non esiste”; in uno spazio astratto ogni dimensione ha lo stesso peso che le altre e non si può stabilire una “graduatoria”, come se le tre a cui siamo abituati siano più importanti!
Anche se gli spazi a n dimensioni sono dei concetti astratti, ciò non vuole dire che non abbiano applicazioni pratiche; un esempio è dato dalla robotica, dove è necessario lo studio di spazi di dimensione quasi sempre più grande di tre (chiamati spazi di configurazione) per tenere conto dei parametri delle possibili posizioni e caratteristiche delle varie componenti.
Storicamente, con l'avvento della teoria della relatività, è entrato nell’immaginario comune l'idea che la “quarta dimensione” sia il tempo.
Questa idea può anche fornire un primo “appiglio” nello studio dello spazio quadridimensionale; bisogna però precisare che si tratta solo di una possibile interpretazione dello spazio quadridimensionale come modello per la rappresentazione del “nostro” spazio (e ancora non dei più recenti, visto che alcuni studiosi teorizzano che il nostro spazio abbia 32 dimensioni...). In altri termini, piuttosto che dire che la “quarta dimensione” è il tempo sarebbe più corretto dire che il tempo è una “possibile” quarta dimensione...
In tempi dove cartomanti e affini si moltiplicano, è bene comunque precisare quello che la quarta dimensione NON è: non è un piano “astrale”!
Paolo Bellingeri
Directeur Fédération Normandie-Mathématiques
Bibliografia
Oltre la terza dimensione, 1993 Thomas Banchoff Zanichelli Editore
Flatlandia, 1993 Edwin A. Abbott Adelphi
Immagini della matematica, 2013 Georg Glaeser Konrad Polthier Springer Raffaello Cortina Editore
https://www.matematita.it
Comments