Ma dove alcuni rispettavano le regole, altri rispettavano il buon senso.
E non solo andavano a camminare, a prendersi una boccata d’aria, ad
acquistare il quotidiano, a correre, a fotografare l’arrivo della primavera, a
pedalare su strade di campagna, tutti comportamenti ammessi dal Decreto
ter e quindi non perseguibili a termine di legge, purchè fossero state
rispettate le distanze reciproche (un metro, poi quattro e infine due,
beninteso, da sopravento; Tex n. 256, 489, 877, 916), non solo stavano in
strada, ma si premuravano di documentare quei momenti, fotografando e
postando in simultanea sui social.
Altri invece, pur a conoscenza di questa inaspettata libertà (fino a quando?),
si dotavano di buon senso e rimanevano nelle proprie case.
Erano forse più rispettosi o solidali con tutti quei medici e infermieri, quelli si
eroi per davvero, che inesorabilmente, di fronte ad una telecamera accesa,
invitavano, o forse supplicavano, tutti di “stare in casa”?
Difficile dare un giudizio ma, giorno dopo giorno, montava il nervosismo.
Dapprima in forma di sfottò e poi in modo sempre più aggressivo.
Le strade erano per lo più deserte, lunghe code si formavano di fronte ai
negozi alimentari, solo raramente si sentiva il rumore di un auto passare
lontana.
Tutti questi mutamenti erano avvenuti rapidamente e non era facile percepirli
come durevoli nel tempo.
Così ciascuno di noi tornò ad occuparsi delle proprie storie personali.
Almeno fino alle 18, orario sacro, durante il quale la Protezione Civile faceva il
punto del giorno, snocciolando cifre relative a nuovi contagi, guarigioni e
morti; cifre che a tutti, a ben vedere, non dicevano granchè: che significava
invero che il totale dei contagiati fosse salito a 25 000?
Allora qualcuno si immaginava la popolazione della città: due volte e mezzo i
nostri concittadini!
Un giorno qualcuno (forse un professore o meglio una professoressa di
Matematica in pausa dall’e-learning) notò che se ogni cittadino contagiato
fosse stato ricoverato sulla prima casella di una immaginaria scacchieraospedale,
e poi di volta in volta se ne fosse raddoppiata la presenza,
sarebbero occorse le caselle di solo due righe, in verità di meno, per ospitare
tutti i contagiati e procedendo in questo modo, l’intera scacchiera-ospedale
avrebbe potuto ospitarne un numero enorme: 18 446 744 073 709 551 615!
Storie personali dunque.
Ciò che colpiva maggiormente era senza dubbio la lontananza: dal posto del
lavoro (era stato infatti implementato il telelavoro e per altri si era fatto ricorso
a giorni di ferie), dai colleghi, dagli anziani genitori, dall’amante, dall’amico.
A volte la lontananza era anche sinonimo di isolamento.
I single si videro costretti a ricorrere alle videochat per rimanere in contatto
visivo.
Una professoressa, a mille chilometri da casa, non trovò di meglio che
fotografarsi quattro volte sullo stesso scatto: versandosi un amaro, in attesa
dello stesso con il bicchiere in mano, scrivendo al computer e guardando
un’altra sè stessa usare una scopa elettrica. E scrivendo orgogliosamente
“non sono più da sola”.
Ma la scusa più banale a cui si faceva ricorso per giustificare un’uscita era la
difesa del diritto alla passeggiata del proprio cane.
Invero diminuirono i deplorevoli casi di abbandono di animali e così si poteva
assistere a giovani coppie che camminavano tenendo al guinzaglio ogni
genere di razza canina; alcuni portavano con sè pechinesi di così minima
taglia che i poverini, dopo poche decine di metri, ansimando sempre più, si
vedevano costretti a chiedere ai propri padroncini di essere presi in braccio.
A volte si vedevano liceali a passeggio con il proprio coniglio, altri con il
maialino vietnamita: un vero, ambizioso, originale, nouvelle Giardino delle
delizie!
Un giorno, un pensionato, uno di quelli che dovendosi trovare un nuovo
impegno si era iscritto al club degli Umarel, quindi un potenziale “contagiato”,
mentre raccoglieva nel proprio giardino le ultime foglie sopravvissute ai non
rigori di quel particolare inverno, si accorse del sopraggiungere di un giovane
atletico uomo che, in tuta, veniva correndo per la via, accompagnato da un
cane.
Pensieri tenebrosi offuscarono la mente del pensionato: perché mai quello si
trovava lì? Era pronto ad apostrofarlo in malo modo.
Ma disse fra sè e sè che forse il ragazzotto non possedeva TV, che forse non
aveva ricaricato il cellulare nelle ultime due settimane, che non aveva letto le
grida affisse sulle bacheche dei quartieri, che deluso da un amore finito, si
fosse recluso volontariamente in casa, che in realtà era stato supplicato dal
proprio cane, o forse si era convintamente sentito graziato dalle suppliche del
don al Crocefisso miracoloso.
Mentre l’atleta si avvicinava e il nostro meditava in tal modo, ormai propenso
a non occuparsene e a badare alle xantofille e ai cianati delle foglie del suo
giardino, si udì in lontananza la sirena di una autoambulanza che si avvicinava.
Il suono divenne sempre più acuto, quasi fastidioso, a tal punto che al
pensionato sembrò di udire, ma non ne era sicuro, l’uomo parlare con il
proprio cane, borbottando qualcosa del tipo “un altro rompicoglione di Umarel
che si toglie d’attorno”.
Una signora ottantenne testimoniò sotto giuramento di avere visto, mentre si
apprestava a chiudere le proprie finestre al piano notte, precipitare dall’unico
Easy jet decollato pochi minuti prima da Malpensa, un pesante rastrello di
ferro che, caso più unico che raro, colpì alla spalla destra il runner.
Per sua fortuna il colpo fu accusato solo di striscio.
Portato in ospedale e ovviamente trasferito con un aereo militare a Palermo, in
quanto tutti gli ospedali della Regione erano saturi, se la sarebbe cavata, si
mormorava, in un paio di mesi, più ovviamente altri tre mesi di riabilitazione.
Alla stessa sera, durante la Conferenza della Protezione Civile, fu annunciato il
Decreto quater che, tra i nuovi obblighi, riduceva ulteriormente la libertà
personale, vietando di fatto ogni tipo di passeggiata.
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