Scheda storica composta per il sito www.progettofibonacci.it
“Il mio nome è Robert de Luzarches e sono un giovane appareilleur, Villard de Honnecourt è invece il nome del mio maestro, dal quale spero un giorno di ricevere in dono la sua puntasecca.
È un rispettato e ricercato architectus, grande esperto nell’opus francigenum: a lui compete l’idea, l’immaginazione e la realizzazione dell’opera.
Il mio maestro è artefice di opere imponenti e magnifiche: costruiamo a lode di Dio.
Per essere sincero devo dire che, nonostante questo, appartenendo alle “arti meccaniche” non siamo sempre ben visti da matematici, letterati e tutti coloro che praticano le “arti liberali”.
I nostri nomi, a differenza dei loro, probabilmente, non verranno neppure ricordati.
Ma le nostre grandiose costruzioni, quelle si, sopravviveranno, a testimonianza di come anche le artimanuali sono in grado di elevare lo spirito umano”.
Nel XII secolo Teodorico di * compendiò nell’Heptateuchon le sette arti liberali ad uso delle scuole cattedrali che andavano sorgendo in questo periodo.
È in questo contesto che si colloca anche la rivalutazione del complesso delle artes mechanicae: “mentre le arti liberali ci introducono alla sapienza, le arti meccaniche ci aiutano a sopperire ai nostri bisogni principali mediante la produzione di beni”.
“È da quattordici giorni che siamo in viaggio, ma quando chiedo qual è la nostra meta, la risposta del maestro è sempre quella: camminiamo verso nord-ovest, Il vescovo Renaud de Bar ha bisogno dei nostri servigi.
Quando finalmente siamo giunti in città ho capito il perché di quel viaggio: uno spaventoso incendio aveva distrutto la “cattedra” del Vescovo!
Renaud de Bar voleva cominciare immediatamente i lavori di ricostruzione, informandoci che il Capitolo avrebbe finanziato l’opera considerando comunque che “il legno è scarso e il ferro è caro”.
Ho dimenticato di dirvi che oggi è un giorno ventoso del 1195.
Villard de Honnecourt è un uomo molto pratico e dopo essere stati ricevuti dal Vescovo, al mattino successivo al nostro arrivo abbiamo convocato le confraternite dei compagnons: saranno queste maestranze (cavapietre, scalpellini, maltatori, vetrai, carpentieri, falegnami), che da generazioni si tramandano segretamente le regole della propria arte, a ricostruire la Cattedrale”.
Lasciamo Robert al suo tempo e facciamo alcune considerazioni in merito all’arte edificatoria medioevale: per esempio, chi decideva il piano della cattedrale, le decorazioni, chi sceglieva l’architetto, come veniva finanziata una simile impresa, quali fondamenti matematici dovevano possedere gli architetti del tempo?
Va comunque ribadito che il movimento delle cattedrali si situa in un contesto politico e sociale molto particolare, alla confluenza di interessi laici e religiosi, nel momento iniziale della politica centralizzatrice dei re di Francia, che combattono i poteri feudali attraverso i poteri accordati ai Comuni e alle città franche.
Le cattedrali sono il simbolo, il “brand” della Città davanti ai castelli dei signori; all’occorrenza vita laica e vita religiosa si legano intimamente e la Cattedrale diventa luogo di riunione dove quasi tutta la popolazione può riunirsi in pubbliche assemblee.
Gli storici dell’architettura ci informano che raramente è possibile risalire ai committenti del progetto, ma che molto probabilmente fossero proprio loro a indicare il nome del progettista.
Altrettanto difficoltoso è risalire al progetto: per progetti disegnati in scala probabilmente si dovrà attendere il XIII secolo (la complessità dell’arte gotica ne è la causa?) e solo da questo secolo il tagliatore di pietra potrà avere a disposizione un modello ligneo preparato dal maestro d’opera.
Spesso queste opere venivano finanziate dai nobili e dai cittadini: con i soldi o con il lavoro manuale.
Lo stimolo era sicuramente la fede, ma anche un diffuso senso di comunità.
Se è vero che i costruttori medioevali non erano in grado di calcolare la solidità dei pilastri, degli archi e delle volte, sapevano però valutare gli sforzi, i loro effetti e i modi per compensarli.
La preoccupazione di ripartire i carichi della copertura e dei muri, rinunciando allo spessore tipico dei muri nell’arte romanica, fa si che l’edificio venisse dotato di uno scheletro, costituito di colonne legate da archi, all’Interno, e da archi rampanti, contrafforti e pinnacoli, all’esterno, caratteristico del gotico.
I costruttori sapevano anche come ogni tipo di pietra avrebbe reagito ai differenti sforzi, anche se vi sono stati casi documentati di cedimento.
Le volte sembrano fluttuare, sorrette da colonne filiformi e muri sottili; questa sorprendente stabilità deriva anche dall’impiego di tiranti e ancoraggi nascosti all’interno dei muri.
“Questa tecnica di costruzione era del tutto empirica e non aveva il sostegno di alcun fondamento teorico (Klaus Jam Philipp, storico e archeologo dell’Università di Stoccarda).
“Gli architetti delle cattedrali gotiche progettano con criteri consolidati: trascorrono tutto il tempo in cantiere. Progettano in modo estemporaneo e comunicano con le maestranze, quasi sempre analfabete, mediante figure geometriche semplici: la cosa più importante, e in questo il mio maestro è geniale, è esprimere chiaramente il metodo di tracciamento utilizzato “per operare leggermente”. Questi disegni costruttivi, a cui le maestranze fanno riferimento, sono realizzati direttamente in cantiere, a volte incise nella pietra di basamento”.
La matematica è la regola che ispira la generazione di forme e che risolve problemi costruttivi.
Ma lo sviluppo matematico e scientifico dell’Alto e Basso Medioevo poteva determinare lo sviluppo dell’arte gotica?
“Ogni giorno che trascorro in questa città è un giorno ben speso; oggi per esempio ho visitato un grande centro di studi nel quale viene approfondita la lettura di manoscritti dei sapienti greci e arabi: Aristotele, Euclide e Archimede (da 50 anni tradotto dall’arabo al latino), Tolomeo (tradotto 25 anni fa sempre dall’arabo al latino), al-Khāzinī, Tabhit Ibn Qurra.
È qui che sono venuto a conoscenza dell’esistenza del numero aureo!
Credo che il maestro Villard ne farà buon uso.
Verso sera abbiamo incontrato i “redemptores”, gli imprenditori che si sono aggiudicati l’appalto”.
“Lo studio della meccanica medioevale non ha certo una lunga storia.
Questo ritardo nelle ricerche sulla meccanica medievale si deve, a mio modo di vedere, alla convinzione, comune in taluni ambienti a partire dal Seicento, che la scienza e in particolare la meccanica, sia un’invenzione seicentesca e che, ammesso che abbia avuto antecedenti significativi, questi siano da ricercare non nel Medioevo ma nell’Antichità.
Bisognerà attendere lo scienziato Pierre Duhem (Origines de la statique, 1906) perché venga riconosciuta per la prima volta l’importanza dei testi di statica medioevale, attribuiti al matematico duecentesco Giordano Nemorario, per lo sviluppo del concetto delle velocità virtuali e del lavoro virtuale, a Giovanni Buridano, Nicola Oresme e altri dotti”.
M. Clagett, La Scienza della meccanica nel Medioevo. Feltrinelli, 1981.
“Stamattina Il mio maestro ha di nuovo incontrato le maestranze e spiegato loro che i piani della costruzione sono basati sul sistema di numerazione duodecimale (posizionale e a base 12 perché il 12 è il più basso numero con 4 divisori, 2, 3, 4 e 6, esclusi l’1 e il 12; inoltre è il più basso ad essere multiplo dei primi 4 numeri), molto utilizzato anche nella vita quotidiana.
Le maestranze dovranno mettere in pratica le tracce principali dei piani, grazie alla corda a tredici nodi, uno degli strumenti utilizzati da questi compagnons, che consente loro di tracciare l’angolo retto, il triangolo equilatero con lato di 4 cubiti, il quadrato con lato di 3 cubiti, un rettangolo con lati di 2 e 4 cubiti, una piramide e una circonferenza, oltre ovviamente a tracciare linee perpendicolari e parallele.
Per quanto riguarda invece il sistema di misura viene lasciata libertà di scelta fra il piede romano e quello teutonico!”.
La cultura meccanica del XII e XIII secolo è riferita alle conoscenze aristoteliche, archimedee, arabe e ai contributi di Giordano Nemorario (De ratione ponderis): i princìpi elementari della leva e la scienza dei pesi sono alla base di ogni speculazione scientifica.
“Il principio della leva, la bilancia, la carrucola, il cuneo, il piano inclinato, la vite sono le macchine semplici attraverso le quali si possono comprendere i processi meccanici e le loro leggi.
La meccanica aristotelica, archimedea e medioevale, che per mezzo dello strumento della leva consente di passare dal principio delle velocità virtuali a quello dei lavori virtuali e con la carrucola approfondiscono il concetto di equilibrio di forze, mostra da un lato la relazione nascosta che esiste tra geometria e meccanica e dall’altro è alla base dell’architettura antica e medioevale, laddove era sicuramente più importante garantire l’equilibrio della struttura che conoscere le implicazioni interne in termini di resistenza” (Corradi/Alemio).
“Oggi è il grande giorno, il cantiere prende forma: delimitazione dell’area, ingresso per i carri che portano i materiali necessari per la costruzione della Cattedrale, deposito per macchine, attrezzi, pietre, calce, legname.
Con il maestro abbiamo discusso con i maggānaroi che sollevano in alto dei grandi pesi, contrariamente alla loro natura, facendoli muovere con una debole potenza per mezzo di una macchina e incontrato i mechanopoioi, costruttori di macchine”.
Immagine tratta da R. Bechmann Le radici delle cattedrali, Oscar Mondadori 1989
Lo strumento di sollevamento più potente in uso in questi secoli, talvolta accoppiato con un congegno girevole, era la gabbia di scoiattolo: mediante una grande ruota di 2,5 m di diametro, il cui asse, sul quale si avvolge il cavo, abbia per fare un esempio, 25 cm di diametro, un uomo di 80 kg poteva far salire senza difficoltà un peso di 550 o di 600 kg.
“Sono ormai 20 anni che la fabbrica della Cattedrale è aperta.
Villard de Honnecourt ha voluto realizzare tre navi di base di sei campate e il transetto è stato diviso nei bracci, prevedendo sempre tre navi; le navi laterali e quella centrale presentano volte a crociera.
Proprio in questi giorni mi ha mostrato un nuovo testo di matematica, secondo lui molto coraggioso. È stato scritto da un matematico italiano, un certo Leonardo da Pisa, che illustra il sistema di numerazione usato dagli Arabi (per questo, dice, coraggioso): fa uso di numeri arabi e conta in base dieci.
Questo matematico ha anche proposto una successione numerica tale che, se si dividono due termini successivi, si ottengo numeri rotti, il cui valore è il numero aureo!
Credo che il mio maestro, che è entusiasta di questo libro, ne terrà conto per costruire figure geometriche simmetriche e prevedere l’eurytmia (armonia) tra le lunghezze, le superfici e i volumi dell'edificio, sia nella sua interezza che nelle parti singole che decoreranno la Cattedrale.
A questo proposito non posso non segnalare come la filosofia del maestro sia quella di far scomparire la pietra preponderante e dura dietro le evanescenze del vetro mutevole.
Villard de Honnecourt ha cercato con estrema cura i costruttori di vetrate e i creatori di vetri fatti con materiali più squisiti, tra i quali gli zaffiri polverizzati e fusi nel vetro per dare ad esso il colore azzurro, cosa che veramente lo rapiva in ammirazione”.
I testi fondamentali a disposizione dei matematici medioevali sono: il De canonio, dal greco, il De ponderoso et levi, attribuito a Euclide, dall’arabo, il Liber karastonis, dall’arabo, a opera di Gherardo da Cremona, l’Equilibrio dei pianidi Archimede, dal greco, tradotto da Guglielmo di Moerbeke, il Liber de insidentibus in humidum o De ponderibus, attribuito ad Archimede.
Dalle prime tre opere, con l’aggiunta dei Mechanicaattribuiti ad Aristotele, gli studiosi di meccanica del Medioevo appresero i principali problemi e concetti della statica greca. Cosa ancora più importante, impararono la necessità di dimostrazioni matematiche in meccanica.
Molti dispositivi usati dai costruttori medioevali per risolvere i problemi di statica delle grandi cattedrali furono completamente originali: alla fine del XII e XIII secolo, proprio quando la costruzione delle grandi chiese poneva problemi difficilissimi dal punto di vista pratico, Giordano Nemorario e altri diedero un notevole e originale contributo teorico alla soluzione di tali problemi.
A Giordano Nemorario sono attribuiti tre trattati di statica principali: Elementa Jordani de ponderibus, il Liber de ponderibus e il Liber de ratione ponderis.
Probabilmente lo stesso Nemorario o un suo allievo ha ampliato i primi due testi e compendiati nelDe ratione ponderis.
Nelle prime parti degli Elementa (supposizioni 4 e 5) emerge il concetto di una componente della forza in un sistema vincolato: “Un peso è più grave per posizione (secundum situ) quando, in una data posizione, la sua discesa è meno obliqua. Una discesa più obliqua è quella che, per una distanza data (lett. per una stessa quantità), comprende meno del verticale”.
La discesa obliqua viene considerata curva negli Elementa, ma in parte curva e in parte rettilinea nel De ratione ponderis (proposizione 10).
Quando Nemorario applica la sua idea della forza componente o della gravitas secundum situ a percorsi obliqui rettilinei, il suo procedimento è del tutto corretto.
Considerando quanto sopra è evidente che per il Nemorario la forza del peso sull’inclinata diminuisce con l’aumentare del rapporto fra il segmento dell’inclinata e la porzione di verticale da esso intercettata (vedi Proposizione 6)
Giordano Nemorario
De ratione ponderis (Sulla teoria del peso).
Proposizione 6 (Trad. E. Moody/M. Clagett)
Se i bracci di una bilancia sono proporzionali ai pesi applicati ad essi, nel senso che al più corto sia applicato il peso più grave, i corpi appesi saranno ugualmente gravi per posizione.
Sia un giogo ACB e siano i pesi a e b, e stia b ad a come AC a BC.
Dico che la bilancia non si muoverà in alcuna direzione.
Supponiamo infatti che discenda dalla parte di B e che assuma la direzione DCE in luogo di ACB. E se il peso d è uguale ad a, e il peso e è uguale a b, e la linea DG discende perpendicolarmente (alla linea AC) e la linea EH sale perpendicolarmente (alla linea CB), è chiaro che, essendo i due triangoli DGC ed ECH simili, DC starà a CE come DG ad EH. E poiché DC sta a CE come b ad a, DG starà ad EH come b ad a.
Sia dunque CL, uguale a CB ed a CE, e l uguale a b in peso, e discenda la perpendicolare LM. Poiché sappiamo che LM ed EH sono uguali, DG starà a LM come b ad a, e come l ad a.
Ma come si è mostrato, a e l sono tra loro in proporzione inversa ai loro moti contrari.
Ciò che è sufficiente a sollevare a in D sarà quindi sufficiente a sollevare l dell’intervallo LM (principio dei lavori virtuali).
Essendo dunque l e b uguali, ed essendo uguali LC e CB , l non seguirà b di moto contrario (ossia non sarà sollevato da b), né a seguirà b.
In conclusione: se non può aver luogo nessun spostamento né di a né di b, quando i bracci hanno lunghezza inversamente proporzionale ai pesi ad essi applicati si avrà equilibrio.
“Ciò che mi colpisce del mio maestro è la sua continua ricerca: è avido di nuova conoscenza; oggi per esempio mi ha accennato ad un nuovo libro, il De ratione ponderibus, un testo di matematica che, secondo lui, ci sarà utile nella costruzione della Cattedrale.
In esso si parla di un nuovo concetto che, attraverso lo studio degli spostamenti da considerare nel problema dell’equilibrio di gravi sospesi a bracci di leva, afferma nell’attitudine dei pesi a muoversi verso il basso, più o meno questo: ciò che può elevare un peso ad una certa altezza, può anche elevare un peso, diciamo tre volte più grande, ad una altezza tre volte più piccola!”.
Proposizione 10 (Trad. A. Sinopoli)
Se due pesi discenderanno lungo cammini diversamente inclinati e se pesi e declinazioni saranno direttamente proporzionali, allora i due pesi saranno caratterizzati dalla stessa virtù (potenza) lungo la loro discesa (eserciteranno la stessa forza, cioè saranno in equilibrio).
Sia allora ab una linea orizzontale e bd una linea verticale. Si supponga che da una parte e dall’altra della linea verticale bd discendano due linee oblique da e dc, e che dc sia caratterizzata da una maggiore obliquità relativa; per rapporto delle obliquità deve intendersi non il rapporto degli angoli, ma il rapporto delle declinazioni, e cioè il rapporto delle due linee oblique misurate da d fino alle corrispondenti intersezioni con la linea orizzontale. Si supponga, inoltre, che il peso e posto su dc ed il peso h su da stiano fra loro come dc sta a da.
Si consideri, infatti, una linea dk con la stessa obliquità di dc, e su di essa un peso g eguale ad e; si supponga inoltre che il peso e discenda lungo dc di un cammino el, mentre i pesi g ed h salgono di un eguale cammino gn ed hm, rispettivamente, lungo kd e ad.
Si traccino le linee orizzontali passanti per g, h e w, e si indichino con nr = ew e mf i cammini verticali. Il rapporto tra nr e ng è eguale a quello tra db e dk, così come il rapporto tra mf e mh è eguale a quello tra db e da:
nr:ng = db:dk
mf:mh = db:da
e poiché ng è eguale ad mh, ne consegue che:
nr:mf = da:dk
ew:mf = da:dc
cioè, i cammini verticali sono inversamente proporzionali alle corrispondenti declinazioni.
Ma, per ipotesi, i pesi hed esono direttamente proporzionali alle declinazioni da e dc; ne deriva che cammini verticali e pesi sono tra loro inversamente proporzionali:
ew:mf = h:e
cosicché le potenze dei due pesi, associate alla gravitas secundum situm e calcolate come prodotto del peso per il corrispondente cammino verticale, sono eguali:
e*ew = h*mf
E poiché né e può sollevare h, né h può sollevare e, per un principio di indifferenza rispetto alla possibilità di movimento, l’equilibrio è garantito.
E Duhem commenta:
“Sotto le dimostrazioni di Giordano traspare chiaramente il principio seguente: ciò che può elevare un peso ad una certa altezza, può anche elevare un peso k volte più grande a un’altezza k volte più piccola. Questo principio è dunque lo stesso che Descartes prenderà a fondamento di tutta la statica.
Il concetto nuovo che emerge è infatti quello di lavoro, prodotto del peso per il cammino verticale”.
“Ho trascorso la mia vita nella fabbrica della Cattedrale.
Il mio maestro ormai non è più tra i vivi: cammino tra questi alberi di pietra e mi sembra di penetrare in una foresta monumentale che ha la capacità di generare meraviglia.
Tutto intorno a me solo architettura e dinamiche dove l’astuzia del maestro ha saputo, a profitto delle sue creazioni, spostare le forze e sospendere i pesi al di sopra del vuoto che tende ad aspirarli: vi si sente il fremito delle forze contrariate, delle membrature puntellate, delle tensioni soggiacenti; si indovina la tigre di pietra pronta a balzare, ma che si trattiene.
Quando, tra secoli, anche voi vi entrerete, rimarrete meravigliati da colonne, archi, volte e vetrate.
La Voce è la luce e voi l’ascolterete con gli occhi.
In tutti questi anni ho dimenticato di rivelarvi il nome della città: essa fa parte della Dioecesis Carnutensis e il suo nome è * "Chartres".
NB: per esigenze narrative è stata anticipata la data di nascita dell’architetto Villard de Honnecourt.
Bibliografia
M. Clagett La scienza della meccanica nel Medioevo, Feltrinelli 1981
A. Sinopoli Il problema dell’equilibrio da Aristotele a Varignon, Franco Angeli 2015
R. Bechmann Le radici delle cattedrali, Oscar Mondadori 1989
G. Di Pasquale Tecnologia e meccanica. Trasmissione dei saperi tecnici
dall’età ellenistica al mondo romano Leo S. Olschki. 2004
Villard de Honnecourt Livre de portraiture, 1200. Versioni Internet
Le Scienze dossier Il Medioevo. Scienza e magia nei secoli bui. 2003
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